C'erano una volta un lupo e una volpe. Il lupo, un giorno, accusò la volpe di averlo derubato. Così, trascinò la volpe in tribunale, davanti ad un giudice (una scimmia), in modo tale che potesse svolgersi il processo.
La volpe negava di aver rubato, mentre il lupo continuava ad accusarla. Il giudice, trovandosi in grande difficoltà e non sapendo cosa fare, decise allora di punirli entrambi, pronunciando le seguenti parole: "False o vere che siano le accuse, pagherete entrambi, e il caso è chiuso. Tu, lupo, pagherai perché mi sembri un gran bugiardo; e tu, volpe, pagherai perché sei ladra per natura!".
Quello che lo scrittore romano Fedro ci racconta in questa favola è un esempio di giustizia nel mondo naturale. Infatti, tutti i protagonisti della fiaba sono animali, e, anziché ricorrere alla violenza (come ci si aspetterebbe dagli animali), fanno riferimento ad un'organizzazione sociale come quella del tribunale.
Lo scrittore romano Tito Lucrezio Caro (99-55 a.C.) avrebbe detto che una tale organizzazione è impossibile da trovare spontaneamente in natura. Avrebbe detto che per rendere possibile il ricorso ad una istituzione (e quindi, ad una legge) c'è bisogno di stipulare un accordo, perché in natura nessuno è portato a ricorrere alla legge.
Lucrezio, infatti, fu uno dei massimi esponenti dell'epicureismo romano.
La dottrina epicurea prendeva spunto dall'opera del greco Epicuro (341-270 a.C.), il quale aveva teorizzato una morale fondata sull'eudaimonismo, ossia, sulla ricerca della felicità. Tra le tante affermazioni, in Epicuro emerge l'idea che la giustizia è motivo di piacere, in quanto garantisce benessere e tranquillità.
Partendo dal presupposto di Epicuro, Lucrezio teorizza il fondamento contrattuale sia della società che del diritto. Insomma: il lupo e la volpe non si sarebbero recati spontaneamente in tribunale, ma solo in seguito all'aver accettato di seguire le regole e i meccanismi di un contratto, stipulato in precedenza.
Capolavoro di Lucrezio è il "De rerum natura". È proprio nel quinto libro di questo testo che Lucrezio teorizza per primo il "contratto sociale", teoria che avrà largo successo in età moderna (la ritroveremo, tra qualche articolo, in Hobbes, Locke e Rousseau).
Il contratto sociale è l'idea secondo cui gli uomini, all'inizio dei tempi, si trovano nel cosiddetto "stato di natura", una condizione di caos e disorganizzazione. Solo in seguito ad un contratto tra uomini si giunge allo stato sociale, nel quale gli uomini sono tutelati e protetti. Nello stato sociale gli uomini non hanno bisogno di ricorrere alla violenza, ma alle istituzioni, proprio come fanno la volpe e il lupo. Nello stato sociale non vale la legge del più forte, ma quella dell'organizzazione giuridica.
Secondo Lucrezio, insomma, è il il genere umano stesso che, stanco di vivere a violenza e nell'ingiustizia, sceglie di sottomettersi al diritto. Non si tratta di leggi naturai, ma di leggi pensate per tutelare la convivenza pacifica.
Pensiamoci bene: se ciascuno di noi fosse il lupo e fosse stato derubato dalla volpe, quale sarebbe la sua prima reazione? Farsi giustizia da solo o correre a denunciare alla polizia? Cosa facciamo ogni volta che subiamo un qualsisi tipo di torto?
La risposta a questa domanda dimostra quanto la nostra convivenza sociale sia diversa da quella degli uomini primitivi, perché si basa su leggi e ha solide basi giuridiche. Basi che non sono naturali. Perché se la legge non ci fosse, ciascuno di noi, in caso di un torto, sarebbe portato ad applicare il celebre "occhio per occhio, dente per dente".