"E quello, crudele, non mi rispose neanche,
ma fece un salto, stese le mani sui miei compagni,
ne afferrò due (…), li fece a pezzi, e si preparò la cena" (1).
È così che il ciclope Polifemo afferra senza pietà i compagni di Ulisse, mangiandoli. Che giustizia è questa? Che ordine razionale permetterebbe l'accadere di una simile atrocità?
Il libro IX dell'Odissea, quello che narra del ciclope Polifemo, fa riflettere sul senso della giustizia, sulle leggi (o, in questo caso, sulla loro mancanza), e sulla loro applicazione.
Sappiamo tutti come va a finire: Ulisse, facendo uso della sua leggendaria astuzia, riesce ad ingannare il ciclope Polifemo, facendogli credere di chiamarsi "Nessuno". In questo modo, quando poi Ulisse riuscirà ad accecare il ciclope, questi non saprà a chi dare la colpa. O, meglio, dirà: "è stato Nessuno".
Questo libro dell'Odissea, così come altri, come ad esempio quello della Maga Circe, fanno riflettere sullo scontro tra l'uomo civilizzato (e cioè Ulisse e i suoi compagni) e l'assenza totale di leggi nei contesti in cui l'Odissea di svolge.
Sappiamo che il mondo antico, soprattutto a partire dal V secolo, con l'introduzione della democrazia ad Atene, rifletterà tantissimo sulle leggi e sul loro senso. In questo contesto, spiccano le riflessioni dei Sofisti.
Chi erano i Sofisti?
Si tratta di un gruppo di intellettuali vissuti nel V secolo avanti Cristo ed orbitanti attorno al contesto culturale di Atene. Famosi ed al contempo criticati dai contemporanei (tra cui soprattutto il filosofo Platone) per impartire insegnamenti solo dietro pagamento di un corrispettivo, la tradizione ce li tramanda ricoperti di accezioni negative. Basta pensare al modo di dire "sei un sofista", oppure "smettila di usare quei sofismi", ancora diffusi nel nostro vocabolario quotidiano e impiegati per rimproverare qualcuno che si appella a termini o ragionamenti eccessivamente complicati.
Nonostante la cattiva fama di cui godettero, i sofisti giocarono in realtà un ruolo fondamentale nella definizione del concetto di "giustizia" nel mondo greco. Loro per primi iniziano a distinguere tra un "giusto per natura" e un "giusto per legge", contrapponendosi a tutta la tradizione precedente, la quale basava la propria riflessione sull'idea dell'esistenza di una giustizia e un ordine razionale già interni al mondo, "assoluti", a cui gli uomini dovevano necessariamente piegarsi. Per forza di cose, dunque, per i pensatori precedenti, le leggi dello Stato dovevano naturalmente accordarsi con le leggi naturali e divine, immutabili ed eterne.
Sovvertendo tale tradizione, i Sofisti fanno notare che le leggi positive (cioè quelle imposte dallo Stato) non si accordano sempre con i bisogni naturali dell'uomo, anzi, spesso non è così. Da qui viene la distinzione tra "giusto per natura" e "giusto per legge”.
Il sofista Callicle (V sec a.C.), ad esempio, sosteneva che le leggi positive fossero opera dei deboli, perché si tratta quasi sempre di leggi volte a tutelare i deboli (basta pensare al fatto che tutte le leggi positive puniscono l'omicidio o il furto: niente, invece, avrebbe punito Polifemo per il suo gesto disumano). Callicle, infatti, sostiene che la legge di natura vorrebbe che vincesse sempre il più forte, e mai il più debole. Questo lo vediamo bene dall'avventura di Ulisse: è sempre il più forte (o, il più astuto) a uscirne vincitore. Ulisse ce lo dimostra in ciascuna delle sue avventure: il cavallo di Troia, l'inganno di Polifemo, l'episodio delle Sirene, sono solo alcuni degli esempi in cui la legge di natura segue il proprio corso e lascia che le cose si aggiustino da sole, lasciando vincere chi naturalmente dovrebbe vincere, senza tutelare i più deboli.
L’attualità e le leggi dovrebbero insegnarci a tutelare il più debole, non solo fisicamente, ma in ogni campo. Chiunque, nessuno escluso, presenta debolezze o fragilità da tutelare e custodire, e qui dovrebbero intervenire le leggi, perché nessuno dovrebbe sentirsi solo e perso come Ulisse e i suoi compagni nella grotta di Polifemo.
(1) MARINARI, D., CAPO, G., BOITANI, P., (2012) “Odissea”, libro IX, Versi 287-291.