Articolo 85 codice penale: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile.
È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere.”
Nel regno di Agrabah, nelle sale dorate del palazzo del Sultano, qualcosa di molto strano sta accadendo:
Jafar: Però maestà, mi è necessario il mistico diamante blu.
Sultano: Il mio anello? Ma appartiene alla mia famiglia da secoli…
Jafar: È indispensabile per trovare un marito alla principessa. Non vi preoccupate, tutto andrà a meraviglia.
Sultano: Tutto andrà a meraviglia…
Jafar: Il diamante!
Sultano: Tieni Jafar prendi pure tutto quello che vuoi!
Jafar: Siete molto gentile mio sovrano, e ora tornate a giocare con i vostri soldatini!
Sultano: Si… mi sembra una buona idea…
Il gran visir Jafar infatti ipnotizza il Sultano per farsi consegnare l'anello con il diamante blu: ovviamente in questo caso il povero Sultano ubbidisce consegnando l'anello, ma non commette alcun reato. Ipotizziamo invece che, anziché di consegnare l'anello, Jafar gli avesse ordinato di uccidere Jasmine: in questo caso, il Sultano sarebbe stato colpevole per l'omicidio della figlia?
Per poter essere reato un fatto deve essere tipico, antigiuridico e colpevole.
La nostra Costituzione al primo comma dell'articolo 27, dice che "la responsabilità penale è personale" e prosegue, al terzo comma, affermando che la pena (ossia la risposta sanzionatoria dell'ordinamento al comportamento che viene messo in atto) deve "tendere alla rieducazione del condannato".
Quando, dunque, un fatto può essere considerato colpevole e chi lo compie responsabile e perciò punibile? Se il Sultano fosse stato punito per aver ucciso Jasmine, potrebbe veramente essere rieducato per quanto commesso, dal momento che 'non era in se' quando l'ha fatto?
La punizione, così come la rieducazione del condannato, è possibile solamente quando il soggetto, conoscendo la norma penale, vada ad agire consapevolmente contro di essa, tenendo così un comportamento contrario a ciò che gli viene chiesto (o imposto) dalla legge.
Dottrina e giurisprudenza individuano degli elementi chiave, che vengono analizzati ogni volta in cui deve essere verificato se un soggetto possa essere punito o meno.
Tali elementi vanno a definire il principio di colpevolezza, secondo il quale un soggetto è punibile nel momento in cui il suo comportamento gli è rimproverabile e questo perché l'analisi del reato si compone di una parte oggettiva (il fatto storico, quello che ha modificato il mondo che ci circonda) e di una parte soggettiva, assai complessa, che investe anche la psiche umana.
Questi elementi sono:
- l'imputabilità:
- il dolo e la colpa;
- la conoscibilità della legge penale;
- l'assenza di cause di esclusione della colpevolezza.
Mentre il Sultano, ancora ipnotizzato, gioca con i soldatini, noi iniziamo un viaggio nel concetto di colpevolezza, partendo dall'imputabilità: secondo l'articolo 85 del Codice penale "è imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere".
La capacità di intendere è la possibilità per un individuo di rendersi conto delle proprie azioni, comprendendo il loro valore (o disvalore) e le conseguenze che esse comportano, la capacità di conoscere ciò che sta facendo.
La capacità di volere è invece la possibilità del soggetto di autodeterminarsi, ossia di controllare i propri impulsi ed i propri stimoli a fare o non fare qualcosa.
Tali capacità sono quindi fra loro molto diverse, ma devono coesistere affinché il soggetto sia punibile: la mancanza dell'una o dell'altra (o di entrambe) va infatti ad incidere sulla capacità del soggetto di essere consapevole delle proprie azioni. Senza tale consapevolezza, non vi potrà essere la rimproverabilità e, pertanto, il soggetto non potrà essere punito (oppure potrà esserlo, ma in modo più lieve).
Come nel caso del Sultano, ci sono alcune circostanze che comportano un annullamento o una diminuzione della capacità di intendere e di volere: esse possono essere di natura patologica, di natura tossica, oppure ancora di natura fisiologica.
…ma di queste parleremo nelle prossime fiabe.
Nel frattempo, possiamo rispondere alla domanda che ci siamo posti.
È evidente come nell'esempio che abbiamo immaginato, Jafar aveva del tutto annullato sia la capacità di intendere che quella di volere del Sultano: se glielo avesse ordinato egli avrebbe ucciso Jasmine, del tutto incapace di comprendere ciò che stava realizzando e, soprattutto, completamente impossibilitato a controllare il suo impulso omicida, dal momento che la magia di Jafar avrebbe del tutto annullato la possibilità di autodeterminarsi.