La fiaba de “Le follie dell'imperatore” è una tra le più divertenti, ma è anche frutto di numerose riflessioni legate al cambiamento radicale dell'imperatore inca Kuzco. Lui viene aiutato dal contadino Pacha a ritrovare non solo le sembianze umane ma anche l'umanità, il più grande obbligo sociale degli esseri umani. Obbligo è anche il termine usato da Simone Weil (1909-1943) per descrivere l’umanità, nel libro La prima radice, pubblicato nel 1949, e manifesto di una società nuova, basata sulle esigenze dell’anima.
Prima di entrare nel vivo del pensiero filosofico di Weil, occorre fare alcune premesse teoriche. Nel saggio, prima di definire il concetto di umanità, la filosofa francese tratta, tra i numerosi temi affrontati, anche della definizione e delimitazione concettuale di diritti e doveri.
Un diritto, per lei, è efficace solo tramite l'obbligo che gli corrisponde; l'adempimento di un diritto, dunque, non proviene da chi lo possiede ma dagli uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a fare qualche cosa. Un obbligo, invece, anche se non è riconosciuto, mantiene la sua pienezza.
Gli obblighi, dunque, che i sudditi dell'impero di Kuzco hanno nei confronti dell'imperatore devono essere adempiuti nella loro totale pienezza. Invece, i loro diritti – che all'inizio della vicenda non vengono riconosciuti da colui che dovrebbe sentirsi obbligato a fare qualcosa – non sono efficaci ed effettivi proprio perché l'Imperatore non li vuole considerare minimamente quale sua fonte di un obbligo ad adempiere gli stessi.
Simone Weil spiega ne “La prima radice” quali siano quindi alcuni doveri (obblighi) che gli uomini, a prescindere dal ceto, debbano rispettare e/o adempiere. Essi sono: ordine, libertà, ubbidienza, responsabilità, uguaglianza, gerarchia, onore, punizione, libertà di opinione, sicurezza, rischio, proprietà privata, proprietà collettiva, verità.
Questi doveri nascono semplicemente dalle necessità naturali dell’uomo poiché hanno la loro origine nell’esigenza degli uomini di convivere pacificamente.
Tra i doveri ce n'è uno molto importante, quello che maggiormente caratterizza l'uomo: l'umanità, esattamente ciò che l'imperatore Kuzco, nel suo viaggio per tornare al castello e ritornare umano, impara.
Cos’è, dunque, l’umanità? L’obbligo che ciascuno di noi ha verso ogni altro essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia a intervenire; e persino quando non gliene si riconoscesse alcuno, per usare le precise parole di Simone.
Kuzco e Pacha pian piano diventano amici e l’imperatore – nonostante inizialmente sia ostile e menta al suo compagno di sventure – salva la vita al contadino, che stava per cadere per un dirupo, e si rende conto della spontaneità del suo gesto e, dunque, della spontaneità della sua umanità.
Quando ritorna ad essere uomo, Kuzco, a seguito della sua “epifania” all’insegna dell’umanità, chiede scusa al vecchietto che era stato defenestrato per aver interrotto il “ritmo dell’imperatore” e, soprattutto, decide di costruire la villa con piscina chiamata Kuzcotopia non nel villaggio di Pacha, bensì sulla collina disabitata che si trova accanto a quella in cui vive la famiglia del contadino.
L’imperatore si rende quindi conto di essere umano non perché non è più nel corpo di un lama, quanto piuttosto perché può aprirsi verso qualcosa che gli è estraneo, che è condiviso da tutti: il bisogno di bene e giustizia che accomuna gli uomini.
L'umanità, dunque, è la coscienza dell'uomo di appartenere a qualcosa che va oltre il singolo, è la coscienza che Kuzco, nelle numerose difficoltà che affronta, riesce a riscoprire e far sua, al di là del proprio e diretto interesse personale.