Cesare fui e son Iustiniano,
che, per voler del primo amor ch'i' sento,
d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano.
E prima ch'io a l'ovra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piùe,
credea, e di tal fede era contento;
(Divina commedia, Paradiso, canto VI)
Siamo all'interno del canto VI del Paradiso di Dante Alighieri. Nella sua Divina Commedia Dante colloca diversi personaggi storici, e tra questi troviamo anche l'Imperatore Giustiniano. È fondamentale fare una premessa: ai tempi di Dante, le notizie su Giustiniano erano ancora poche e lacunose, ed è forse per questo che Dante "tralascia" le azioni negative che Giustiniano compì durante il proprio impero.
Dante, infatti, disegna Giustiniano come un sovrano esemplare, quello che più di tutti ha saputo incarnare la volontà e gli insegnamenti della Chiesa.
Giustiniano fu imperatore dal 526 al 565, nel periodo in cui la capitale dell'Impero era Costantinopoli, ed è celebre soprattutto per aver riconquistato militarmente l'occidente e per aver emanato il Corpus Iuris Civilis, un testo che ebbe la funzione di risistemare tutto il diritto romano allora conosciuto.
È Giustiniano stesso a raccontare a Dante che, con il Corpus Iuris Civilis, ha eliminato dalle leggi romane "il troppo e 'l vano", rendendole così più giuste. Giustiniano volle fare ordine tra le leggi romane, essendo queste innanzitutto troppe, e poi spesso anche ambigue. Questo perché nel corso dei secoli tutti gli imperatori romani avevano promulgato moltissime leggi, e tutte queste erano rimaste valide nel corso degli anni a venire. Si trattava dunque di leggi che molto spesso erano anche in contrasto tra loro.
A tutte queste leggi si sommavano poi i commenti dei giuristi, che venivano consultati in tribunale qualora sorgessero dubbi. Anche qui, però, si trattava di materiale da interpretare, e che spesso entrava in contraddizione.
Ecco, quindi, che Giustiniano decise di incaricare un gruppo di esperti, con a capo il giurista Triboniano, di radunare tutte le leggi, i trattati e i commenti emanati nel corso del tempo, di riordinarli, di eliminare le contraddizioni e di ripubblicare il tutto in una nuova forma, più organica e sintetica.
Di qui in poi, il diritto romano cambiò profondamente. Se fino ad allora il diritto era stato qualcosa di "aperto", cioè un sistema in cui giudici e giuristi procedevano e deliberavano facendo riferimento a sentenze precedenti (un sistema affine al Common Law, cioè basato sui precedenti giurisprudenziali che su codificazione o leggi), d'ora in poi il diritto romano avrebbe trovato tutte le risposte che cercava all'interno del nuovo codice, senza più bisogno di interpretazioni.
Nasce proprio qui l'idea che il diritto debba essere un insieme di leggi promulgate dallo Stato, leggi invariabili e alle quali è necessario rispondere. Leggi che non solo non possono essere fraintese, ma non possono neanche essere cambiate dalla volontà instabile di un imperatore, che potrebbe promulgare leggi diverse ogni giorno a proprio gusto (come in passato era accaduto). Nasce qui anche il sistema del "Civil Law".
Non è una coincidenza se l'Impero romano raggiunse il suo massimo splendore proprio sotto Giustiniano, che si era posto l'obiettivo della Restauratio Imperii, e che proprio per questo cominciò a riconquistare i territori che un tempo erano appartenuti all'Impero Romano d'Occidente.
Inoltre, sotto Giustiniano il cattolicesimo divenne religione ufficiale, e l'arianesimo venne perseguitato.
Secondo Giustiniano, la base di un solido impero era il concetto di unità. Ed è proprio su questo concetto che si concentrò, in ogni senso e in ogni ambito: un solo sistema di leggi, una sola religione da seguire, motivo per cui vennero perseguitati tutti coloro che non abbracciavano il cristianesimo.
Un'unità che veniva portata avanti e promossa sia in modo implicito che in modo esplicito. Un'unità che era, in qualche modo, sinonimo di sicurezza.
È con l'avvento delle grandi religioni monoteistiche, tra cui soprattutto il cristianesimo, che si assiste ad una messa in discussione della molteplicità in favore dell'unità. Pensiamoci: se prima i condottieri romani (ad esempio, Augusto o Cesare) avevano interesse nella conquista dei territori ma non nell'eliminazione delle altre culture, ora la mentalità è cambiata.
Quando prima i popoli venivano conquistati dai romani, a questi era concesso di mantenere la propria religione e i propri usi e costumi, e anzi spesso erano i romani stessi a incuriosirsi dei modi di vivere dei popoli, raccontandoli o talvolta addirittura cercando di imparare qualcosa. Ora, invece, i nuovi popoli conquistati devono essere completamente inglobati nell'Impero, senza lasciar traccia delle loro religioni o tradizioni. Perché il diverso, il molteplice, non è più contemplato. Non è più una ricchezza a cui attingere.
Ad esempio, non appena Giustiniano conquistò l'Africa vandalica (l’odierno nord Africa), promulgò una legge sulla gestione dei nuovi territori, così da eliminare la cultura e l'organizzazione amministrativa dei vandali.
Un'unità che un po' "fa crescere", come nel caso del Codice, ma un po' spaventa. Perché il rischio è che Giustiniano abbia eliminato quello che secondo lui era "il troppo e 'l vano" non solo dalle leggi, ma da tanti altri ambiti sociali, umani e culturali.